In quest’ultimo anno scolastico ho avuto modo di seguire presso la Pubblica Assistenza di Spezia (senza articolo!) un doposcuola per bambini stranieri di elementari e medie. Il primo mese è stato bellissimo, perché i bambini studiavano e sembravano quasi voler bene alle loro insegnanti.
Dopo, l’inferno: e “io i compiti non li faccio”, e “vai a quel paese”, e “se non mi fai giocare al telefono quando finisco i compiti non faccio niente”, le fughe dall’aula, i pianti per una divisione sbagliata. È stata dura capire come entrare nel cuore di questi bambini che ti vedono come una persona contro la quale vincere anziché come un’alleata.
C’è stato B., che aspettava che mi sedessi, si sedeva sulle mie ginocchia e iniziava a leggere a voce bassa con un po’ di difficoltà. C’è stato D., che se vede che non lo segui si mette seduto con le sorprese degli ovetti Kinder e non ti dice niente: semplicemente, aspetta. Abbiamo avuto anche I., che fa tanto quello che è bravo in tutto, ma poi piange di fronte alle operazioni di matematica. Ci sono stati altri che hanno studiato tranquilli senza far troppi capricci e ci sono stati i bimbi di Piazza Brin, che si sono rivelati fantastici.
E poi c’è stato M., che ha fatto penare chiunque lo abbia seguito. Tutti insieme si avvicinavano e chiedevano “ci compri le figurine dei calciatori: dai, costano solo 70 centesimi” o “mi compri le caramelle/patatine quando finiamo?”.
M., che è il bimbo più grande e che di solito arriva prima di tutti, mi chiama “Malefica”, “Diavolo” e “Cattiva” per qualche mese. All’ultimo, poi, improvvisamente mi si affeziona – complici le figurine delle ultime due settimane? – e finalmente parla con me.
Oggi, in particolare, mi ha raccontato un sacco di cose:
“Ma davvero studi per andare in Germania?”
“Mah, è una possibilità”
“E ci abbandoni? Vai via tra cinquant’anni, dai, ora è presto”
“Eh, tra cinquant’anni sarò vecchia”
“Quindi avrai la pensione?”
“Spero di sì”
“Sai, gli Italiani sono furbi con noi stranieri”
“Perché? Che fanno gli Italiani?”
“Perché voi lavorate in bianco e quindi avete la pensione. La mamma me lo dice sempre. Invece noi stranieri dobbiamo lavorare in nero e quando smettiamo di lavorare non ci paga più nessuno, mentre a voi pagano”.
“Però sai cosa faccio se divento Presidente?”
“No, non lo so, cosa fai?”
“Intanto, gli stranieri qui in Italia li faccio diventare tutti Italiani. Poi, gli Italiani che sono stati buoni con me li faccio lavorare in bianco: tu sei brava, quindi ti salvo. Invece quelli che sono cattivi con noi li mando in Africa e li faccio trattare come loro trattano noi. E poi tutti quelli che abitano in Africa li faccio stare chiusi 5 mesi in casa così diventano bianchi, così se vengono in Italia e qualcuno dice che sono stranieri loro possono dire che sono bianchi come gli Italiani. A me piace andare al mare, ma se divento ancora più scuro lo vedono subito tutti che sono stranieri”.
Stiamo tanto a parlare di integrazione, facciamo i master per rendere la scuola inclusiva, ma non è solo la scuola che deve cambiare. E questo bambino, se diventa Presidente, spero che si ricordi della sua insegnante malvagia a cui alla fine dell’anno scolastico ha regalato una gomma perché “la mamma non mi ha dato i soldi per comprarti un regalo vero”.